Il Rinascimento veneziano fu la declinazione dell’arte rinascimentale sviluppata a Venezia tra il XV e il XVI secolo.
Prima metà del XV secolo
Dopo la crisi economica del quattordicesimo secolo, le famiglie veneziane avevano cominciato a prendere precauzioni cercando forme di reddito più sicure del commercio, come le terre che affittano, così la Repubblica iniziò un’epoca senza precedenti, iniziando l’espansione nell’entroterra. Inizialmente i terreni furono portati verso l’arco alpino e la pianura tra l’Adige e il Po, fino a quando non arrivarono a limitarsi ai Visconti, con i quali avevano ripetuto scontri. Nei mari invece il nemico principale rimase Genova, contro la quale furono completate due guerre.
In pittura, scultura e architettura c’era un contemporaneo innesto di motivi tardo-gotici, amalgamati con il substrato bizantino: le finezze lineari e cromatiche del gotico erano infatti molto simili alle sontuose astrazioni orientali. I siti principali erano San Marco e il Palazzo Ducale, dove consacrava uno ‘stile architettonico veneziano’, pubblicato dalle mode europee del momento, con decorazioni molto dense, tunnel e numerosi ritmi di luci e ombre di pizzo, che era ri- usati da secoli I più importanti pittori dell’epoca, come Gentile da Fabriano, Pisanello e forse Michelino da Besozzo, lavorarono alla decorazione del Palazzo Ducale tra il 1409 e il 1414, opere che oggi sono quasi totalmente perse.
Gli artisti “cortesi” erano affiancati da una scuola locale, inaugurata già nel XIV secolo da Paolo Veneziano, e da artisti fiorentini, che dagli anni venti erano impegnati nella costruzione di San Marco e di altre chiese. Tra questi ci furono Paolo Uccello (nella città dal 1425 al 1430) e Andrea del Castagno (1442 – 1443), che mostrarono le prime prospettive dell’arte fiorentina. Il loro esempio, tuttavia, fu inascoltato, a giudicare dal minimo seguito da artisti locali, e fu ricevuto solo da alcuni artisti della vicina Padova, come Andrea Mantegna, che d’altra parte aveva già conosciuto le innovazioni più all’avanguardia attraverso l’esempio diretto di Donatello.
Seconda metà del XV secolo
Intorno alla metà del XV secolo l’espansione sulla terraferma divenne più consistente, a scapito delle città indipendenti del Veneto e dell’attuale Lombardia orientale. Ciò compensava in parte le perdite veneziane all’estero dovute agli Ottomani, che tuttavia non influenzarono inizialmente il dominio veneziano sui mercati orientali: la città rimase a lungo l’emporio più vivace in Europa, dove i commerci del Nord e del Est convergente., Con incontri e scambi a tutti i livelli. L’abbondanza di capitale garantiva alti livelli di commissioni artistiche, sia a livello comunitario che privato, con la creazione di una collezione intelligente e aperta alle novità, tra cui Flemings. Lungo il Canal Grande prosperano mercati esteri e fondachi.
L’unicità e l’isolamento culturale di Venezia iniziò così a fallire in quegli anni, quando la città entrò con le sue conquiste nella scacchiera italiana, favorendo relazioni più strette e continue con le culture locali. I giovani patrizi veneziani iniziarono ad apprezzare i nuovi stimoli culturali, frequentando lo Studio Padovano, la Scuola di Logica e Filosofia di Rialto e quella della Cancelleria di San Marco, fiorente nella metà del XV secolo.
L’umanesimo veneziano si è rivelato sostanzialmente diverso da quello fiorentino, con un carattere concreto e interessato a testi politici e scientifici (Aristotele, Plinio, ecc.), Piuttosto che letterario e astrattamente speculativo come in Toscana. Il rinascimento arrivò a Venezia principalmente attraverso la mediazione della Lombardia per quanto riguarda l’architettura e la scultura, e Padova per la pittura. Importante anche il progresso scientifico, che culminò con la pubblicazione della Summa de Arithmetica, Geometria e Proporzionalità di Luca Pacioli (1494), chiamata dalla Serenissima poco dopo il 1470 per l’insegnamento della matematica.
Pittura
I contatti con il rinascimento padovano in pittura furono ripetuti e più fruttuosi di quelli con Firenze. A metà del secolo il muranese Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini lavorarono al fianco di Andrea Mantegna nella cappella Ovetari; Lo stesso Mantegna visitò Venezia, sposando una donna veneziana, figlia di Jacopo Bellini; squadrioneschi di prim’ordine come Carlo Crivelli, Marco Zoppo e Cosmè Tura erano in città, in alcuni casi mantenevano un negozio per un certo periodo.
Queste influenze padovane si ritrovano nelle due più importanti botteghe veneziane del periodo, quella di Vivarini e quella di Jacopo Bellini.
Il primo, con base a Murano, fu avviato da Antonio, che fece discontinui tentativi di rinascita, mentre la svolta del Mantegna del fratello minore Bartolomeo, che era a Padova e assimilò la notizia con entusiasmo, ma anche con limiti, fu più marcata. Ciò è evidente nel Polittico di Ca ‘Morosini (1464), incastonato con figure solide e con un segno secco, prestando attenzione all’anatomia e alle bozze con profili taglienti; tuttavia, non esiste una logica costruttiva unitaria, come possiamo vedere nelle proporzioni ancora salite tra la Vergine al centro e i santi laterali, e nella mancanza di unificazione spaziale degli sfondi. Il figlio di Antonio, Alvise, assimilò la lezione di Antonello da Messina addolcendo il linearismo padovano, ma non riuscì a eguagliare la magia luministica. Un esempio di questo è la Sacra Conversazione del 1480, con una luce fredda e colori brillanti come smalti che esaltano i contorni asciutti. I compromessi tra innovazione e tradizione dei Vivarini hanno ricevuto una diffusione capillare, soprattutto in ambienti meno colti e nella provincia dei centri minori dell’entroterra, talvolta in scadenza anche in perpetuazioni.
La clientela più raffinata, invece, era rivolta principalmente al laboratorio di Jacopo Bellini, che ha avuto una svolta rinascimentale dalla metà del secolo, applicando la prospettiva a una serie di fantastici panorami raccolti in album di modelli. Forse aveva appreso queste innovazioni a Ferrara, dove avrebbe potuto incontrare Leon Battista Alberti, forse con la mediazione di Masolino, passando per l’Ungheria, o più probabilmente a Padova, dove i pittori locali avevano raccolto la lezione di Donatello. La vera svolta rinascimentale nella pittura fu dovuta ai suoi due figli, Gentile e Giovanni Bellini che, seppur in modi e misure diverse, raccolsero e misero a frutto l’esempio di Andrea Mantegna, loro cognato, e, dopo il 1474, di Antonello da Messina.
Caro Bellini
Gentile Bellini fu coinvolto soprattutto nella pittura di “teleri”, le grandi tele che a Venezia sostituirono gli affreschi (per ovvi motivi climatici) e decorarono gli edifici pubblici e le “scuole”, cioè quelle potenti confraternite veneziane che raccolsero migliaia di cittadini uniti dallo stesso campo di lavoro, da una comunità straniera o da intenzioni di benessere. La sua pittura era legata a un gusto ancora fiabesco, tardo gotico, privo di una spazialità pienamente organica. Nella Processione di Piazza San Marco (1496) manca un centro definito e si usa la prospettiva sì, ma per singoli frammenti. Lo sguardo si trova quindi a vagare tra i diversi gruppi di personaggi e per i blocchi dello sfondo. L’attenzione dell’artista è rivolta soprattutto alle notizie tempestive dell’evento, con i personaggi abbastanza grandi da includere ritratti precisi e soffermarsi sulla descrizione di gesti e costumi. La sua analisi oggettiva e quasi cristallizzata lo ha reso un ritrattista molto richiesto, che è persino venuto a dipingere il sultano Muhammad II.
Giovanni Bellini, debutto e maturità
Giovanni Bellini, altro figlio di Jacopo, fu il più importante pittore veneziano della sua generazione, ma il suo stile fu presto liberato dallo stile tardo-gotico grazie all’esempio di Andrea Mantegna. Tra le opere del suo debutto precoce spicca ad esempio la Trasfigurazione del Museo Correr, dove la linea è asciutta e incisiva e la scansione dei piani è enfatizzata in modo prospettico da una visione “sott’in su” del gruppo superiore di Cristo tra i profeti Più originale è l’enfasi posta sulla luce e sul colore, che ammorbidisce il paesaggio e immerge la scena miracolosa in una dolce atmosfera vespertina, derivata dall’esempio fiammingo. Nella Pietà della Pinacoteca di Brerathe la grafica è ancora presente, come nei capelli di Giovanni dipinti ad uno ad uno o nella vena pulsante del braccio di Cristo, ma la luce si mescola nei colori che ammorbidiscono la rappresentazione, grazie al particolare tiraggio della tempera a intervalli ravvicinati. L’intenso pateticismo del gruppo fa riferimento all’esempio di Rogier van der Weyden, e si riferisce sempre a un modello fiammingo del parapetto che taglia le figure a metà, avvicinandole allo spettatore.
La durezza e le limitazioni lineari del Mantegna furono presto superate, verso un uso più ricco del colore e una tecnica più morbida, grazie alla profonda assimilazione della lezione di Piero della Francesca, dei fiamminghi e dei primi anni settanta, di Antonello da Messina. Il pittore siciliano in particolare era in città dal 1474 al 1476, ma non è escluso che abbia conosciuto Bellini qualche anno prima nel centro Italia. Queste influenze si ritrovano nella produzione di Giovanni come la Pala di Pesaro (1475 – 1485), con l’espediente dello sfondo del trono aperto sul paesaggio che appare straordinariamente vivo: non un semplice sfondo, ma una presenza in cui aria e la luce sembra muoversi liberamente. Questo è combinato con l’uso della pittura a olio, che permette di fondere il vicino e lontano grazie agli effetti di luce particolari.
Antonello poi ha mostrato il suo stile singolare, che mediava tra la tradizione nord europea, fatta di un particolare uso della luce grazie alla tecnica dell’olio, e la scuola italiana, con figure di grande monumentalità inserite in uno spazio razionalmente costruito, con la prova fondamentale di Pala d’altare di San Cassiano (1475 – 1476), vero confine tra antico e nuovo nella cultura veneta. In essa i santi sono ritmicamente distanziati a semicerchio attorno all’alto trono della Vergine che danno un respiro monumentale al complesso, ma il connettivo dorato della luce che pervade le figure è soprattutto innovativo. Il virtuosismo prospettico e le sottigliezze ottiche fiamminghe si combinano quindi con la sintesi geometrica dei volumi, ottenendo un equilibrio calibrato con cura.
Uno sviluppo di questo concetto avvenne nel San Francesco nel deserto di Giovanni Bellini (intorno al 1480), dove il tradizionale crocefisso che invia le stigmate al santo, il pittore sostituì una luce divina che proviene dall’angolo in alto a sinistra, che inonda il santo gettando ombre profonde dietro di lui. San Francesco è raffigurato nel centro, magro e circondato dalla natura. La particolare concezione della relazione tra uomo e paesaggio qui è in molti modi opposta a quella dell’umanesimo fiorentino: l’uomo non è l’ordinatore e il centro dell’universo, ma piuttosto una fibra interamente con cui vive in armonia, con una permeabilità tra gli umani mondo e mondo naturale dato dal respiro divino che anima entrambi.
Dalla fine del XV secolo la rappresentazione del paesaggio in accordo supremo con il lavoro umano divenne un risultato inevitabile della pittura veneziana, che vide uno sviluppo ininterrotto fino ai primi decenni del secolo successivo. Bellini è rimasto protagonista di questa evoluzione, come si legge in opere come la Trasfigurazione di Capodimonte (1490-1495), dove la scena sacra è ambientata in una profonda rappresentazione della campagna veneta, con una luce calda e intensa che sembra coinvolgere ogni dettaglio, con la sua radiosa bellezza, all’evento miracoloso.
Cima da Conegliano
Il principale seguace di Bellini, nonché un interprete sensibile e originale, era Giovan Battista Cima, noto come Cima da Conegliano. Nelle sue pale d’altare la disposizione spaziale è chiaramente definita, con figure monumentali immerse in una luce cristallina, che accentua un senso diffuso di pace rurale nei paesaggi. Questo si adatta perfettamente alla calma dei personaggi, che riflettono la “immobilità dell’anima”.
Vittore Carpaccio
In questo periodo a Venezia si sviluppò un particolare tipo di pittura narrativa legata alla grande serie di tele, diversa da quella sviluppata in altri centri italiani per la ricchezza di elementi descrittivi e evocativi. Essi erano essenzialmente destinati ad adornare le pareti di ampie stanze, dove gli affreschi non potevano essere utilizzati per problemi legati al particolare clima della laguna, in particolare quelli delle scuole, cioè le confraternite dei laici che riunivano persone legate da la stessa professione o la stessa nazionalità o da particolari devozioni. Le tele erano spesso disposte come lunghi fregi per coprire intere pareti e il loro momento d’oro, con la più originale elaborazione di schemi narrativi, cadeva nell’ultimo decennio del XV secolo, quando la decorazione fu commissionata pochi anni dopo. del nuovo ”
Carpaccio ha creato enormi tele piene di episodi in cui però, soprattutto nella fase iniziale, la visione continua a prevalere sulla narrazione, secondo l’esempio di Gentile Bellini. Nelle sue opere, tuttavia, la costruzione prospettica è rigorosa e il connettivo luminoso è ora evidente, in grado di collegare l’estremamente vicino e l’estremamente lontano con una singola luce soffusa e dorata, che dà la sensazione atmosferica di circolazione dell’aria [13].
Nelle Storie di Sant’Orsola ha spesso raccolto più episodi (come nell’arrivo degli ambasciatori britannici, 1496-1498), che si susseguono al primo piano, che poi diventa un palcoscenico. Ciò è sottolineato anche dalla figura del “reveller” un personaggio in primo piano che guarda lo spettatore coinvolgendolo nella rappresentazione, presa dal narratore delle sacre rappresentazioni del teatro rinascimentale. Gli sfondi sono occupati da vaste vedute di città, mari e campagne, immaginari ma con elementi presi dal reale che li rendono familiari agli occhi abituati alla vista di Venezia e dell’entroterra veneziano.
Nel seguente ciclo per la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, anch’essa interamente edita da Carpaccio, l’artista ha semplificato la struttura narrativa delle tele, concentrandosi di volta in volta su un singolo episodio, ma sottolineandone il potere evocativo e il fascino. Nello spettacolare San Giorgio e nel drago (1502) le figure creano un arco dinamico teso, che rende la giustapposizione furiosa del combattimento al meglio. Alcuni dettagli richiamano il pericolo della bestia, come i macabri resti umani che spargono il terreno, mentre altri sono collegati a trucchi prospettici, come la fila accorciata di palme vicino alla città, o l’arco naturale di roccia che incornicia una vela nave A San Girolamo e al leone nel convento (1502), il pittore incita la descrizione ironica dei frati che fuggono dalla vista dell’amato amico del santo, mentre nei funerali di San Girolamo tutto è legato a un’atmosfera di raccoglimento e tristezza nell’ambiente rurale. Il capolavoro dell’artista è la visione di sant’Agostino, dove il santo-umanista è rappresentato nel suo studio pieno di libri e oggetti di lavoro intellettuale, con una calma diffusa di luce che simboleggia l’apparizione miracolosa di San Girolamo al vescovo di Ippona .
Negli anni successivi la produzione dell’artista rimase ancorata agli schemi quattrocenteschi, incapace di rinnovarsi alle rivoluzioni messe in atto dalla successiva generazione di artisti veneziani, venendo meno al sostegno dei circoli più colti e raffinati della città lagunare. Dopo essersi dedicato alla decorazione di altre scuole minori, si ritirò nella provincia, dove il suo stile tardo trovava ancora ammiratori.
Altri
Altri maestri che seguirono l’orchestrata armonia dello spazio, della luce e del colore di Bellini furono Alvise Vivarini, Bartolomeo Montagna, Benedetto Diana.
Architettura
Negli anni 1460-1470 vi fu anche un cambio di architettura a Venezia, con l’arrivo di architetti dell’entroterra e della Lombardia, tra i quali si distinse Mauro Codussi. Partecipante alle novità fiorentine di Brunelleschi, Leon Battista Alberti e Michelozzo, portò uno stile rinascimentale rivisitato in laguna, visibile già nella sua prima opera, la chiesa di San Michele in Isola (1468-1479). La chiesa ha una facciata tripartita, liberamente ispirata al Tempio Malatestiano di Alberti, con due ordini sovrapposti. Quella superiore ha un attico tra pilastri con l’oculo e quattro dischi di marmo policromo, sormontati dal frontone curvilineo, mentre ai lati si uniscono due ali curve, con fini ornamenti a forma di conchiglia; nel punto in cui sono collegati alla parte centrale c’è una cornice sporgente che taglia in due i pilastri. L’interno della chiesa è diviso in tre navate, contrassegnate da archi a tutto sesto sostenuti da colonne. Ogni navata è coperta da cassettoni e termina in un abside semicircolare, con l’ultima campata divisa ai lati da mura e coperta da una cupola cieca. Sul lato dell’ingresso c’è un vestibolo separato dal resto della chiesa da un “barco”, cioè un coro rettilineo con archi. Sottraendo lo spazio del vestibolo e quello del presbiterio con le cupole si ottiene un corpo centrale perfettamente quadrato. Un esempio simile e prima della prima opera di Codussi (chiesa di San Michele) è a Sebenico nella chiesa di San Giacomo dell’architetto Giorgio Orsini che aveva precedentemente lavorato a Venezia nel palazzo ducale: fu l’Orsini che usò la pietra di La cavata dell’Istria bianca all’isola di Brac, poi usata da Codussi. Inoltre questo modello di chiesa fu seguito lungo la costa dalmata.
L’inclusione della scrittura latina sulla facciata è nuova. La prima più alta: “Domus mea domus orationis” (Vangelo di Matteo 21,13) Traduzione: “La mia casa (sarà chiamata) casa di preghiera”. Il secondo più basso: “Hoc in templo summe deus exoratus adveni et clemen. Bon. Pr. Vo. Suscipe” (testo con abbreviazioni sulla facciata) “Hoc in templo summe deus exoratus adveni et clementi bonitate precum vota suscipe” (testo originale completo della canzone “in dedicatione ecclesiae”). Traduzione: “O Dio ha implorato in questo tempio, vieni e benvenuti i voti delle preghiere”.
La moderna elaborazione della tradizione veneziana si può vedere anche all’interno della chiesa di Santa Maria Formosa, dove vengono ripresi i temi del Brunelleschi degli elementi architettonici in pietra grigia che si stagliano sull’intonaco bianco. Di Codussi comprendeva anche il progetto delle Procuratie Vecchie e della Torre dell’Orologio, ma era soprattutto con gli edifici Corner-Spinelli e Vendramin-Calergi che ridefinivano il modello della casa patrizia veneziana rinascimentale. Il secondo appare soprattutto come interpretazione locale del Palazzo Rucellai dell’Albertiano, con la facciata divisa in tre piani da cornici rettilinee di semicolonne con ordini sovrapposti: dorico, ionico e corinzio. Grandi finestre a due luci, con un ritmo irregolare (tre affiancate, altre due isolate sui lati), animano la facciata, dandogli l’aspetto di una loggia a due piani, che si riflette anche sul piano terra, dove al posto della finestra centrale si trova il portale. La cornice architettonica domina la facciata, subordinando sobri intarsi policromi ed elementi decorativi.
Insieme al Codussi rigoroso e moderno, altri architetti hanno lavorato in città, con un gusto più ricercato, come Antonio Rizzo e Pietro Lombardo. Il primo fu formato nel sito della Certosa di Pavia e fu responsabile di circa quindici anni di ricostruzione e ampliamento del Palazzo Ducale. Il secondo, di origine ticinese, fu l’architetto di alcune opere in cui l’uso degli ordini classici si fondeva con una esuberante decorazione lombarda e con il gusto lagunare di rivestire le pareti di marmi preziosi, come Palazzo Dario e la chiesa di Santa Maria. dei miracoli.
Scultura
Nella seconda metà del Quattrocento gli scultori attivi a Venezia erano principalmente gli stessi architetti o figure, tuttavia legati ai loro cantieri, che si formavano nei loro negozi. Ad esempio, fu il caso dei due figli di Pietro Lombardo, Tullio e Antonio, che ricevettero incarichi per grandiosi monumenti funebri di dogi, statue e complessi scultorei. Gli indirizzi espressi dalla scultura di quel periodo non erano omogenei e spaziavano dal realismo vigoroso ed espressivo di Antonio Rizzo (statue di Adamo ed Eva nell’arco di Foscari), al classicismo maturo di Tullio Lombardo (Bacco e Arianna).
Il laboratorio di Tullio Lombardo in particolare è stato incaricato di alcuni memoriali di stato, che rappresentano alcuni degli esempi più completi di questo tipo. Il monumento funebre al doge Pietro Mocenigo (circa 1477-1480) ha una serie di statue e rilievi legati alla figura del “capitano da mar”, nella celebrazione della sua vittoria, seppur modesta, contro gli ottomani nell’Egeo. Il monumento fu concepito come il conferimento di un trionfo, richiamando dall’antichità alcuni miti simbolici, come quello delle fatiche di Ercole.
Ancor più legato ai modelli antichi fu il monumento funebre al doge Andrea Vendramin (1493-1499), con una struttura architettonica derivata dall’Arco di Costantino, che fu amplificata negli anni successivi. Il defunto è rappresentato nel centro, sdraiato sul sarcofago, che è decorato da personificazioni di Virtù, di sapore ellenistico. Nella lunetta il doge è raffigurato su un bassorilievo, mentre adora la Vergine che assomiglia a una dea classica. Anche il basamento, dove si trova l’elegante iscrizione in lapidario romano, è ricco di rilievi simbolici in stile che imita l’antico, anche quando rappresenta personaggi biblici come il Judith. Nelle nicchie laterali c’erano originariamente statue antiche, oggi nel Bode Museum (Paggi reggiscudo), nel Metropolitan Museum (Adamo) e in Palazzo Vendramin Calergi (Eva),
Tipografia e stampa
Nel 1469 Giovanni di Spira fondò la prima macchina da stampa a Venezia. L’attività ebbe un tale successo che alla fine del XV secolo gli stampatori attivi erano già quasi duecento, garantendo alla città un’egemonia a livello tecnico, culturale e artistico. Dal 1490 Aldo Manuzio pubblicava magnifiche edizioni di opere classiche e contemporanee di grande qualità. Il capolavoro dell’arte tipografica dell’epoca fu il romanzo allegorico della Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, edito da Manuzio nel 1499: in esso i caratteri del testo sono armoniosamente legati alle illustrazioni in legno e ai motivi ornamentali di delicata ispirazione classica.